Cappelle e altari navata destra

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CAPPELLA DEL CROCIFISSO

 

La cappella presenta un’ambiente di forma quadrata ed è una delle poche ad avere l’altare con i decori originali.

L’altare è sormontato da due colonne con capitelli corinzi, sulle quali si avviluppano foglie e grappoli d’uva, che sorreggono una complessa trabeazione.

In alto, due angeli che reggono uno scudo, dove probabilmente erano collocate le armi dei Lombardo, famiglia patrona della cappella.

In posizione centrale alle colonne si trova un antico Crocifisso in cartapesta.

Ai lati, dipinto a fresco, ma rovinato dal tempo, il gruppo della Madonna, la Maddalena e S. Giovanni Evangelista.

La volta a crociera, con costolature di fogliame in stucco, presenta nel centro e nei peducci teste di cherubini.

 

Le quattro vele presentano dei bilobati riccamente decorati con quattro angeli che portano i simboli della passione: Angelo con lancia, bastone, spugna e drappo; Angelo con martello, chiodi e flagello; Angelo con scala; Angelo con colonna.

Nelle pareti laterali, ornate solo nella parte superiore, fra decori costituiti da angeli, ghirlande, cherubini, si trovano sei ovali, tre per parte, contenenti ognuno un santo.

Nella parete di destra notiamo: la Veronica, un Santo che porta la croce tenendo una mano di Gesù e una religiosa anch’essa intenta a portare la croce, probabilmente Santa Caterina da Siena.

Nella parete di sinistra: in alto la sacra Sindone, sotto un santo sacerdote, forse Ludovico Bertrando, che porta la croce ed in mano un calice.

A destra, un altro frate predicatore davanti ad una croce, bagnato dal sangue di Cristo che fuoriesce dalle ferite; ad accentuare la particolare spiritualità domenicana legata al tema teologico della partecipazione dell’uomo al mistero della Passione e Redenzione.

 

ALTARE DI SAN VINCENZO FERRERI

 

Sotto una navata a crociera con doppie nervature in stucco, una ghirlanda centrale che racchiude uno stemma e dei peducci con cherubini, sta l’altare dedicato a San Vincenzo Ferreri.

Posto all’interno di una cornice in stucco, sta il quadro raffigurante San Vincenzo Ferreri e storie, attorniato da due angeli ai lati, con una ghirlanda di fiori e foglie e due cherubini sovrastati dalla colomba dello Spirito Santo in alto.

Secondo Vincenzo Scuderi, ex soprintendente alle Gallerie ed Opere d’Arte della Sicilia occidentale, il quadro riflette degli influssi toscani o pierfrancescani nella figura centrale; mentre richiami al gusto fiammingo-catalano si riscontrano nei quadretti delle storie tutt’intorno.

 

L’opera è attribuita al pittore di origine spagnola Antonello Benevides.

L’altare è preceduto da un gradino dove fra i mattoni in maiolica spicca uno stemma gentilizio appartenente alla famiglia dei Gambacurta.

Sebbene lo stemma originario della famiglia fosse solo il leone, in San Domenico il leone è caricato di quattro fasce, sormontato da una croce ancorata e sulla destra un castello sovrastato da tre torri.

 

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ALTARE DEI TRE MAGI

 

L’altare dei Magi, con volta a crociera, cherubini e ghirlande al suo seguito, è sormontato da una grande cornice in stucco che ospita la tela dell’Adorazione dei Magi di Orazio Ferraro del 1602.

La composizione dell’opera, seguendo l’analisi che ne fa il Marchese, medico, storico e scrittore, è divisa in due piani prospettici da un fornice architettonico.

Nel primo piano, collocato centralmente su una predella, il gruppo della Madonna col Bambino e S. Giuseppe, sulla destra il gruppo di personaggi in adorazione due magi e due paggi.

Sulla sinistra, invece, il terzo mago che precede il gruppo dei personaggi in movimento, che si riallaccia al corteo del secondo piano visibile sullo sfondo paesaggistico e viene a colmare la frattura fra i due piani prospettici.

Di forte impatto visivo è la disposizione scalare delle teste di S. Giuseppe, della Madonna e del mago inginocchiato, disposti lungo una diagonale idealmente prolungata verso l’alto dai raggi della cometa.

Nel dipinto si riscontrano diversi influssi provenienti dalla cultura siciliana, nello specifico quella palermitana del tardo Cinquecento, dal cui il Ferraro dovette attingere.

Di gusto rovinista è l’architettura presente nell’opera, costituita da un grande arco e da colonne scanalate e interrotte, e invasa da una selvatica vegetazione che accentua ancora di più il senso di decadimento.

Tale soluzione scenografica, che riscontriamo anche in altre opere di quel periodo, sembra voler alludere al trionfo dell’ordine nuovo, inaugurato da Cristo, sull’ordine vetusto, magnifico ma in rovina.

Ai lati della tela, sono collocate in due nicchie con mensole e calotte conchigliate, che ospitano i simulacri di due domenicani, dottori della Chiesa, con l’intento di mettere in relazione la sapienza dei magi con quella dei predicatori.

Nell’edicola di sinistra è collocata la statua di San Tommaso d’Aquino col Toson d’Oro, che simboleggia la passione per la ricerca e tiene sul petto il tipico sole radiante, l’emblema della sapienza.

In quella destra sta il simulacro di Sant’Alberto Magno, vescovo di Ratisbona, raffigurato in abiti pontificali.

Per quanto riguarda l’identificazione dei patroni dell’altare e dei committenti del quadro molti sono i problemi e le incertezze.

Per lungo tempo si è creduto di riconoscere, nelle due figure effigiate nel quadro, le immagini di Carlo II Aragona Tagliavia e Marinis e della sua consorte Giovanna Pignatelli Colonna, ma dall’esame dello stemma presente accanto alle due figure in preghiera nell’opera, differisce da quello dei due coniugi.

 

ALTARE DI SANTA CATERINA D’ALESSANDRIA

 

Anche questo altare ha la volta a crociera, priva delle nervature ornamentali, rimodellato, è sovrastato da una piccola nicchia con volute laterali e testina centrale che conteneva un probabile Sacro Cuore.

Ai lati, sotto le due finestrelle che si affacciano sul chiostro del convento, due mensole sorreggono, a sinistra la statua di San Vito e a destra quella di Santa Crescenza, distinguibile dal seno scoperto ad avvalorare il suo ruolo di nutrice.

La cappella secondo un atto rinvenuto del 1578 è dedicata alla famiglia Gambacurta.

Il dipinto di Santa Caterina d’Alessandria, di ignoto maestro siciliano, ha tutti i tratti iconografici tradizionali: la ruota e la spada come strumenti di martirio, la corona e il libro sinonimi di regalità e saggezza.

L’opera conferma la frequente associazione della santa alla devozione domenicana.

Raffigurata come una martire colta che disputa con i filosofi, vista anche come metafora della vittoria sui nemici della fede, testimoniata nel quadro dalla figura del moro soccombente ai suoi piedi.

Davanti l’altare, nel pavimento, si trova una grande lastra tombale con cornice perimetrale a volute. Fra i motivi ornamentali, riporta uno stemma con sei armi e un’iscrizione che si ricollega ad un esponente della famiglia Dionisio.

In essa si legge: OSSA LEONARDVS DIONYSIO HIC RETINEBIT VIVVS ADHVC VRNÆ QVÆRITAT ESSE MEMOR LEO FORTIS ET VT NARDVS SPIRABIT ODOREM, DOMINO…SI STIMVLATVS OBIT ANNO D. NI ÆTA SVÆ.

“Leonardo Dionisio qui raccoglierà le sue ossa, mentre, ancora vivo, pone mente al sepolcro, memore di essere forte quale leone e che come il nardo emanerà fragranza,…morì nell’anno del Signore (vacat) all’età di (vacat)”.

Come abbiamo modo di costatare dalla stessa iscrizione, la lapide fu realizzata mentre Leonardo Dionisio era ancora in vita, tant’è che furono lasciate in bianco gli spazi dove indicare la data di morte e l’età.

 

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CAPPELLA DI SAN DOMENICO

 

La cappella absidale destra di S. Domenico, a tetto a crociera, ha un altare rimodellato e sormontato ai lati da due piatte lesene scanalate con ghirlande che sorreggono una trabeazione a timpano e al centro è posto lo stemma domenicano.

Un tempo tra le lesene era collocato un quadro ad olio del santo, l’opera trafugata nel 1982, fu sostituita dopo la sua riapertura definitiva nel 2014, da una Sacra famiglia e Santi.

L’opera, restaurata alla fine degli anni Settanta del secolo scorso è di Giovan Paolo Fundulli e per i suoi colori squillanti e un po’ metalli, richiama lo stile manierista, nonché lo stilema di alcuni artisti lombardi.

In primo piano, a sinistra, sta la figura di S. Francesco d’Assisi, con alle spalle San Girolamo, riconoscibile per gli abiti rossi e il leone ai suoi piedi.

Predomina la figura di Sant’Anna posta sopra la Vergine, ai lati S. Giuseppe e S. Gioacchino.

Nella parete di destra della cappella, si trovava un altro quadro di un certo valore artistico di ignoto autore, ma anche questo fu trafugato.

Nella parete di sinistra si riscontra un monumento funebre appartenente agli Aragona Pignatelli, due leoni passanti che sostengono un sarcofago recante nel centro un grande scudo araldico sormontato dall’aquila del Sacro Romano Impero.

Sul sarcofago poggiano due plinti con pilastrini, sorreggenti una cornice spezzata con volute, alla quale si addossano altrettanti busti acefali, con in alto al centro una piccola croce e due busti femminili ai lati.

Lo spazio intermedio invece, è occupato da un grande scudo araldico sormontato da corona, accollata ad una grande conchiglia. Tutto il complesso, posto al di sopra del sarcofago, poggia su un ampio mantello sorretto da due angeli.

La presenza dell’aquila imperiale sul monumento ci induce a riferire tale opera a Diego Aragona Tagliavia e Pignatelli, che fu il primo della casata a ricevere il titolo imperiale del Sacro Romano Impero, per tanto, possiamo collocare l’opera alla metà del XVII.

Si è supposto che fu in tale secolo che questo ambiente acquisì la funzione di cappella autonoma, essendo stata adibita a sacrestia della chiesa.

La cappella era collegata al convento attraverso una porta in corrispondenza dell’altare, attualmente occlusa ma ancora visibile dall’interno del chiostro.