TECNICA E STILE DECORATIVO

Molti sono gli interrogativi inerenti alle tecniche esecutive adottate dalla bottega di Antonino Ferraro, che hanno portato alla realizzazione di uno stucco di eccelse qualità, tale da sopravvivere per quattro secoli.

L’appellativo di Imbarracochina dato ad Antonino Ferraro, deriva dal suo mestiere di stuccatore; si tratta infatti, di una parola dialettale siciliana composta dal verbo imbarrare, impastare, e dal sostantivo cocina o cuacina, calce, e etimologicamente parlando sta per impasta calce, elemento cardine dello stucco.

Per le decorazioni del coro e del presbiterio di San Domenico la mistura adoperata dal Ferraro e dalla sua equipe è composta da elementi poveri come la calce, la polvere di marmo e materiali locali.

Tali materiali erano miscelati in modo da ottenere un impasto particolarmente malleabile che rendesse a lavoro ultimato un modellato dall’effetto marmoreo.

L’anima interna delle figure a stucco è composta da tufo sagomato e fili di ferro.

La modellazione delle loro masse, invece, è fatta da un impasto di sabbia e calce, ricoperte in superficie da un fine strato di bianco stucco che non supera lo spessore di mezzo centimetro.

Le parti aggettanti trovano sostegno su mensole lapidee, e a sua volta le figure articolate sono strutturate da un’armatura di lunghi chiodi di ferro e canapa.

Per la definizione esterna delle figure, talvolta era la committenza stessa ad esprimere delle precise richieste.

Seguendo la tendenza manieristica del tempo, di gusto raffaellita, l’articolato discorso teologico-religioso proposto nella decorazione pittorica e plastica, viene alleggerito dall’inserimento di un reticolo di cornici entro le quali spiccano figure allegoriche, angeliche, mascheroni e grottesche.

Tali decorazioni, un mix di forme bizzarre, dove la realtà vegetale, animale e umana viene deformata e confusa, assolve all’esigenza di creare un campo alternativo a quello principale, nel quale l’artista può dare libero spazio alla sua fantasia, immaginazione e creatività.

Un esempio lo riscontriamo tra lo Sposalizio e i quattro ovali con Storie della Vergine, ornatissimi di fiori, frutta e dentellature in stucco dorato.

Tra grappoli d’uva e viticci, sbuca un volto maschile ghignante, dai lineamenti fortemente marcati, e la peluria del labbro superiore si trasforma in motivi vegetali che culminano a mo di volute.

I volti mostruosi sparsi in tutta la chiesa, insieme a forme semivegetali e semianimali, uccelli di varie specie, satiri, putti e angeli, ricordano analoghi stilemi architettonici presenti e diffusi nei palazzi fiorentini e romani.

Metamorfosi della materia che si trasforma in vita, le decorazioni sono un richiamo a quel messaggio alchemico che accompagna tutto il ciclo decorativo della chiesa.