Storia dell’Architettura in Sicilia tra 400 e 500

La storia dell’architettura in Sicilia è abbastanza complessa e almeno fino agli inizi del ‘500 non bisogna tener conto di quella suddivisione in periodi che si è soliti usare per la produzione architettonica del resto d’Italia e dell’Europa.

Il Rinascimento nell’isola, è solo un fatto sporadico e la produzione artistica siciliana fu molto influenzata dagli arabi, bizantini e normanni.

Questa caratteristica regionale giunse ad assolvere il ruolo di architettura nazionale e ad essa si aggiunsero gli apporti esterni provenienti dall’architettura gotico-sveva, dall’architettura chiaro-montana e dal tardo-gotico quattrocentesco di matrice spagnola.

Un’architettura empirica frutto della commistione di componenti eterogenee e dei modi tecnico-costruttivi delle maestranze locali. Tale linguaggio era caratterizzato, per quanto riguarda gli edifici di culto, da una chiarezza volumetrica.

Chiarezza che riscontriamo nella cupola emisferica a nicchie pensili, nella continuità delle superfici murarie quasi sempre trattate in modo che la luce potesse scorrervi senza ostacoli e nell’uso di conci squadrati in pietra arenaria in filari, assemblati da un sottile strato di malta.

L’arco acuto, soluzione strutturale, che in Sicilia deriva dal mondo islamico, viene adottato in modo più formale e statico per conferire a queste architetture maggiore slancio.

Anche in presenza di piante longitudinali, non viene meno la tendenza a centralizzare lo spazio tramite cupole architettonicamente poste nella zona presbiterale e/o absidale.

L’intelaiatura prospettica, derivante dall’uso degli ordini architettonici, giungerà in Sicilia solo con la crisi dell’Umanesimo e l’arrivo nell’Isola del Manierismo tramite l’apporto dei “michelangioleschi”, la diffusione della trattatistica e la costruzione dei collegi gesuitici.

La scultura, originatasi dai canoni classicistici fiorentini di Domenico Gagini e dalla chiarezza volumetrica lauranesca, andrà man mano evolvendosi nella varietà sempre più ricca dei partiti decorativi e in una sensibilità artistica che raggiungerà l’apice con il “sommo” Antonello Gagini.

Importante fu l’influsso della scultura spagnola e nord-europea, la cui componente espressiva drammatica si rivelerà fondamentale per la comprensione della scultura devozionale della Controriforma.

Storia dell’Architettura in Sicilia tra 400 e 500Nel trapasso stilistico del Rinascimento maturo alle forme della maniera, assume molta importanza, la fabbrica della Cattedrale di Palermo.

In tale cantiere si formano e si affermano, accanto ad artisti del continente come il fiorentino Giovanni da Maiano o il perugino Orazio Alfani, i citati Gagini e anche giovani artisti siciliani come Antonino Ferraro.

Sarà proprio Antonino Ferraro da Giuliana e la sua famiglia, insieme alla famiglia Li Volsi da Tusa, a portare il linguaggio della Maniera, in particolare quello di Raffaello e delle Logge Vaticane, in parecchi centri dell’Isola, con i loro cicli decorativi in cui i rilievi a stucco erano intervallati da affreschi.

Non bisogna dimenticare l’importanza fondamentale che nel superamento della fase classicistica e nell’affermazione della Maniera rivestirono gli interventi di Giovanni Angelo Montorsoli a Messina, e del Camilliani a Palermo.

Tali artisti oltre a segnare una rottura con i canoni classici, anticipano nell’organizzazione formale e nell’impostazione prospettica, quelli che saranno i temi dell’architettura siciliana del XVII secolo.

L’arte, se vuole raggiungere i suoi scopi, diventa essenzialmente artificio, elaborazione, complicazione e composizione.

Il tutto sostenuto da una cultura che spazia dal campo della letteratura italiana, a quella biblico-cristiana, a quella spagnola e italiana del Rinascimento. La bellezza artistica divenne non più un dato, ma il risultato di una conquista.

L’esistenza di una committenza estremamente sensibile alle nuove ideologie spiega l’arrivo in Sicilia di una folta schiera di pittori che diffondono il linguaggio della Maniera appreso presso le scuole del continente.

Se il fare pittorico si identifica in larga parte con il “raffaellismo”, pur permeato da influssi peruzziani e leonardeschi, di Cesare da Sesto, Girolamo Alibrandi e Polidoro da Caravaggio, non meno rilevanti furono gli apporti della cultura spagnola e della pittura fiamminga, colma di fermenti manieristici e controriformistici, nonché di una carica espressionistica che risente di influenze d’arte napoletana.

 

Testo tratto da P. La Rocca, Spazio e simbolo nella chiesa di San Domenico a Castelvetrano. Il restauro di ammodernamento di Carlo d’Aragona e Antonio Ferraro, pp. 1 – 13.