IL CORO

Il Ferraro rappresenta i Misteri Gaudiosi nel presbiterio, mentre nell’intradosso dell’arco acuto che introduce al coro ci presenta i Misteri della Passione e della Morte di Gesù Cristo quasi, a voler significare che il suo sacrificio permette all’uomo di passare da una condizione mortale ad una immortale.

Ma per poter entrare, alla fine, in questo stato bisogna subire una serie di iniziazioni graduali che sono lo scopo del sacerdozio di Cristo.

Queste consistono, come insegna San Paolo nell’Epistola agli Ebrei, nell’espiazione, nella purificazione, nella santificazione e nella consumazione.

Da sinistra a destra si alternano affrescati in riquadri ed ovali, Gesù davanti a Pilato, La flagellazione, L’incoronazione di spine, La condanna a morte e La crocifissione; al culmine dell’intradosso è L’incoronazione della Vergine.

Si continua poi con La deposizione, La sepoltura, Le pie donne al sepolcro, L’apparizione alla Maddalena e L’apparizione ai discepoli di Emmaus.

Sotto gli affreschi, da ambo i lati, stanno i busti in stucco delle vergini e martiri siciliane S. Lucia e S. Agata e le statue di S. Rocco e S. Sebastiano, che richiamano il tema del tormento fisico, protettori dal pericolo della peste.

Il rilievo in stucco del Dio Padre benedicente, tra un coro d’angeli, domina la volta del coro.

Attorno, in quattro grandi ovali, sono affrescati i Misteri Gioiosi: La resurrezione, L’Ascensione, La Pentecoste e, nel quarto ovale simultaneamente, La morte, L’incoronazione e L’assunzione della Vergine.

Si alternano agli ovali quattro grandi affreschi, delimitati da larghe cornici rettangolari in stucco che rappresentano i profeti Daniele, Giona, David e Salomone.

 

Collegati ad essi, piccoli ovali illustrano scene rispettivamente esemplificative delle loro vite: Daniele che spiega il sogno di Nabucodonosor; Giona inghiottito dal mostro marino e, dopo tre giorni, restituito alla vita; David che uccide il gigante Golia e L’Incoronazione di Salomone.

Sotto la volta, tangenti la linea d’imposta e i profili delle nicchie angolari, stanno otto tondi con i busti degli apostoli in rilievo.

Ognuno è accompagnato da un’iscrizione che mette in luce il ruolo o la virtù particolare del personaggio cui si riferisce.

Sotto il precursore S. Giovanni il Battista, la scritta NON SUTRERII MAIOR JOANNE BATTISTA sottolinea il fatto che, pur venuto prima di Cristo, si dica “non degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali del Salvatore”.

DILEXIT ANDREA DOMINUS IN ODORE SUAVITATIS indica la predilezione del Maestro per l’apostolo Andrea.

QUIA VIDISTI ME THOMA CREDIDISTI allude all’incredulità di S. Tommaso, il quale credette di trovarsi di fronte a Cristo risorto solo dopo aver posto il dito nelle sue piaghe.

TU ES PETRUS ET SUPER HANC PETRAM EDIFICABO ECCLESIAM MEAN è la conferma della nomina di S. Pietro alla successione di Cristo.

Indicativa del ruolo di S. Paolo e dell’importanza della sua dottrina teologica è la scritta SANTE PAULE APOSTOLE PREDICATOR VERITATIS ET DOCTOR SANCTUS sotto il busto dell’apostolo delle genti.

La scritta PHILIPPE QUI VIDET ME VIDET PATHEM MEUM sta a ricordare a S. Filippo la natura divina oltre che umana del Redentore.

O LUX ET DECUS HISPANIE SANCTISSIME JACOBE ricorda che S. Giacomo è il patrono della nazione spagnola.

Il principe di Castelvetrano era particolarmente devoto a S. Giacomo e faceva parte dell’omonimo ordine cavalleresco.

La scritta sotto il busto di S. Bartolomeo lo collega al luogo delle sue origini BARTOLOMEUS APOSTOLUS NATIONE GALILEA.

Le statue, a grandezza naturale degli evangelisti e dei dottori della chiesa trovano posto nelle nicchie angolari del coro.

 

Nella prima nicchia a sinistra entrando sono S. Luca e S. Agostino.

L’evangelista Luca è intento a scrivere, il libro aperto sul ginocchio ed il piede poggiante sul toro, il suo simbolo, allegoria del sacrificio.

Dietro di lui un angelo reca la scritta: LUCA EST MECV SOLVS alludente alla lettera testamento che S. Paolo, in prigione a Roma, scrisse al suo fedele discepolo Timoteo, in cui fra l’altro ricorda di essere stato abbandonato da tutti tranne che da Luca.

Il vescovo di Ippona, S. Agostino, è effigiato in atto di scrivere mentre un angelo in ginocchio, gli regge il libro.

In un nastro recato da un angelo affrescato nella parete della nicchia si legge: APERVIT AGVSTINUS CONDICEM A PLICV3 [UBUS].

Si vuole alludere alla conversione di S. Agostino, complice la fortuita lettura dell’epistola di S. Paolo ai romani.

 

La seconda nicchia angolare, in fondo al coro a sinistra, è occupata dalle figure di S. Giovanni Evangelista e di S. Gregorio.

Ai piedi di S. Giovanni sta un’aquila, simbolo della profondità della dottrina espressa dal suo vangelo.

I primi versetti si leggono sul libro aperto posto su di un alto leggio: IN PRINCIPIO ERAT VERBVM ET VERBVM ERAT APVD DEVM ET DEVS ERAT VERBVM, “In principio era il Verbo e il verbo era presso Dio e Dio era il Verbo”.

Anche il vescovo di Costantinopoli, S. Gregorio che indossa l’abito pontificale e il triregno sul capo, indica alcune parole scritte sul libro: GREGORIVS, SERVVS SERVORUM DEI, ad indicare la sua profonda umiltà.

Presso la mano destra del pontefice rifulge la colomba dello Spirito Santo, ad indicare la divina ispirazione dei suoi scritti.

 

Marco e S. Ambrogio sono raffigurati nella prima nicchia a destra.

L’evangelista Marco ha in mano un libro e poggia il piede sul leone, il suo simbolo, il quale stringe tra gli artigli un volume con l’iscrizione PAX TIBI MARCE EVANGELISTA.

La frase MARCVS CONSABRINVS BARNABA, recata da un angelo affrescato sulla parete, allude alla parentela di Marco con Barnaba; i due erano cugini.

Barnaba, già seguace di S. Paolo, abbandonerà l’apostolo, che non aveva voluto con sé Marco nel suo secondo viaggio, per seguire il cugino.

Anche S. Ambrogio è raffigurato in atto di scrivere, mentre un angelo, davanti a lui, con una mano gli sorregge il libro e con l’altra gli tiene il pastorale in qualità di vescovo di Milano.

 

Nell’ultima nicchia sono S. Matteo e S. Girolamo.

S. Matteo è simboleggiato dall’uomo, perché vuol dimostrare che il figlio di Dio si è fatto vero uomo venendo al mondo e il Ferraro lo sottolinea riportando le prime parole del vangelo che l’evangelista ha davanti a sé: LIBER GENERATIONIS IESV CRISTI FILII DAVID.

L’iscrizione che lo riguarda, sulla parete, è a tal punto degradata dall’umidità, da risultare illeggibile: ANGELVS HIC IST… LAMPAS RESPLENDVIT.

Girolamo è rappresentato come vecchio maestoso e barbuto, con accanto il leone, simbolo del deserto dove, eremita, si ritirò a vivere in penitenza e a studiare le sacre scritture.

 

Sulla parete orientale, sempre in prossimità del coro, sotto i reliquiari, in due lunette sono riprodotte in bassorilievi due storie di Giuseppe.

In quella di sinistra Giuseppe venduto dai fratelli, in quella di destra l’arresto di Giuseppe, imprigionato dal faraone, in quanto ingiustamente accusato dalla moglie, invaghitasi del giovane servitore.

Anche la storia di Giuseppe, venduto dai fratelli e poi iniquamente imprigionato, si collega con quella di Cristo tradito da Giuda e che dal sepolcro risorge e torna nel regno celeste.

In una chiesa domenicana non potevano mancare i Santi appartenenti a quell’ordine.

Rilevante sarà stato il ruolo dei padri domenicani nell’organizzazione del programma iconografico svolto nella decorazione di S. Domenico.

L’ordine domenicano è comunemente legato all’Inquisizione, molti dei suoi padri andavano ad occupare queste cariche nei tribunali, in virtù del fatto che, fra tutti gli ordini monastici, era l’ordine dei predicatori quello che si distingueva per un’istruzione teologica molto elevata qualitativamente tanto da essere in grado di rappresentare e difendere l’ortodossia cattolica.

I domenicani sono plasticamente rappresentati nelle sei nicchie ricavate nelle strombature delle finestre della cappella del coro.

Negli squarci di quella centrale troviamo San Domenico e San Tommaso.

Sotto la statua di San Domenico, rappresentato con una chiesa in mano, in quanto sostenitore ed aiuto della comunità dei credenti, è la scritta: ADSVNT DOMINICI LETA SOLENNIA LAVDE MVLTEPLICI PLAV DAT ECCLESIA.

“Si avvicinano i lieti riti di Domenico, la Chiesa gioisca con molteplice lode”.

Sotto S. Tommaso, rappresentato secondo l’iconografia classica col sole sul petto, a sottolineare tutta la sapienza e la scienza che il cielo gli infuse, è la scritta: INFVDIT COPIAM SANCTO THOME DE EXCELSIS FONS SAPIE NTIE TÃ QM FLVMEN CLARE/SCIENTIE.

“La fonte della sapienza dall’alto dei cieli ne infuse gran copia in San Tommaso come un fiume di chiara scienza”.

Negli squarci della finestra a sinistra abbiamo Santa Caterina da Siena e San Pietro Martire.

Sotto la statua della prima si legge: DET CATHARINA FRVI NOS VERO LVMINE XPI ET SOCIET VIRGO BEATA CHORIS, “Conceda Caterina che noi godiamo della vera luce di Cristo, e ci accompagni la beata Vergine fra i cori celesti”.

Sotto quella del secondo, rappresentato con l’arma del supplizio sulla testa, sta la seguente legenda: PETRVS NOV9[US] INCOLA CELOS LAVREAT9[US] ASCENDIT AVREOLA TRIPLICI / DOTATVS, dove si fa riferimento alla triplice corona che egli avrebbe ricevuto al suo ingresso in cielo.

CREDO IN DEV, che allude alla sua estrema professione di fede, tracciata per terra, al momento del martirio, col suo sangue.

Negli squarci della finestra destra, vi sono i simulacri di S. Antonino da Firenze e S. Vincenzo Ferreri.

Sotto Sant’Antonio, vescovo di Firenze, c’è incompleta, l’invocazione, tratta da un’antifona del suo ufficio: O BEATE ANTONINE NOS T(E) QVOQ(UE LAUDANTES PATERNIS SEMPER OCULIS INTUERE).

Sotto San Vincenzo, leggiamo la richiesta a guidare con certezza nel cammino alla croce di Cristo: AD XPV3[EM] NOS VINCETI9[US] TVTO FERENS ITINERE.

 

Sopra la finestra del coro, attraverso la quale il principe Carlo soleva assistere alle funzioni religiose, stando nel suo appartamento, è riportata la palma su di uno scudo in rilievo e sorretta da due puttini.

Stemma della famiglia Tagliavia Aragona, dorata, su fondo azzurro, presenta nove rami, tre radici e due grappoli di datteri.

Tutt’intorno allo scudo un’iscrizione VT PALMA FLOREBIT ET OMNIA QUECVMQVE FACIET PROSPERABVNTUR, “fiorirà come palma e tutto ciò che farà sarò reso prospero.”.

C’è un filo rosso che permette di ricollegare l’VT PALMA FLOREBIT, “fiorirà come palma” dello stemma di casa Tagliavia, il DONEC VENIAT QUI MITTENDUS EST, “finché verrà colui al quale esso appartiene” della Genesi ed il sibillino-virgiliano IAM NOVA PROGENIES CELO DIMICTITUR ALTO, “già una nuova stirpe scende dall’alto dei cieli”.

Si tratta di una profezia che affonda le sue radici in un sogno interiore di riscatto legittimato dai Testi Sacri.

Ma, questa volta, il NASCENTI PUERO, colui che MITTENDUS EST a portare la salute e la pace al genere umano non è più il “rampollo di Jesse”; sarà la radice degli Aragona a produrre il nuovo virgulto per cui, alla sua nascita, OMNIA QUECUMQUE FACIET PROSPERABUNTUR, “tutte le cose che farà, e tutti i suoi interessi saranno prosperati”.

I modelli, i personaggi, le sibille, i profeti, i re di Giuda, sono antologicamente scelti per l’attuazione del ciclo decorativo, che sembra quindi come la traduzione in forme simboliche di un sogno interiore.

Il sogno di Carlo d’Aragona, di un feudatario siciliano che, per quanto potente, si sentiva investito da una missione forse superiore alle sue oggettive possibilità e di un siciliano che, pur fedele alla corona spagnola, sognava il riscatto della sua terra.

Alcune iscrizioni poste nel coro danno testimonianza della data di conclusione dell’opera, del suo autore e del committente. PRIMUM ARAGONUM PRINCEPS HOC RITE SECELLUM CAROLUS AETERNO CONDIDIT IPSE DEO.

Il principe Carlo teneva dunque a precisare come il sacello dedicato all’Eterno fosse stato realizzato in conformità ai decreti e ai canoni sull’arte sacra che il concilio tridentino aveva approvato.

Il processo, simbolico e metaforico, avviene contemporaneamente a vari livelli, da quello meccanico a quello interiore, mentale e spirituale, al livello matematico-geometrico o cabalistico, che prevede il passaggio dalla forma quadrata, alla forma circolare unitaria, la quadratura del cerchio.

Tale quadratura avviene anche nel coro di San Domenico, dove dal quadrato di base, attraverso successivi e graduali passaggi si arriva al cerchio su cui si imposta la volta.

 

 

 

Testo tratto da P. La Rocca, Spazio e simbolo nella chiesa di San Domenico a Castelvetrano. Il restauro di ammodernamento di Carlo d’Aragona e Antonio Ferraro, pp. 153 – 183.