GLI ARAGONA TAGLIAVIA

Già baronia dal 1299, con la concessione di Federico III d’Aragona, la terra di Castelvetrano fu data in mano a Bartolomeo Tagliavia, miles panormitanus, e sotto la tutela di questa famiglia godrà un felice periodo di rifioritura che durerà fino alla seconda metà del XVII secolo.

Da quel che si evince dal testamento di Nino I Tagliavia a metà del XIV sec la città di Castelvetrano contava già le due chiese di Santa Maria e quella in fase di costruzione di San Gandolfo.

Circa un secolo dopo furono realizzate altre chiese, si tratta di quella di Santa Chiara, la vecchia chiesa di San Giovanni, quella della SS. Trinità e di San Nicolò del Bosco.

La famiglia Tagliavia che fino a quel momento viveva tra Palermo e Sciacca, solo con il barone Nino III si stanziò a Castelvetrano.

Le condizioni di ricchezza e benessere, dovuti anche dalla sperimentazione della coltura della vigna e del grano da parte del barone Bartolomeo, portarono all’ampliamento nel 1448 della chiesa di San Gandolfo.

Stessa sorte toccò alle quattrocentesche chiese di Sant’Antonio Abate, San Vito, San Sebastiano, San Nicolò e San Giacomo.

Qualche anno dopo nel 1470 venne avviata la fabbrica della chiesa di San Domenico, al tempo dedicata a Santa Maria di Gesù.

Sempre su iniziativa del barone Nino III, il 20 aprile del 1487, papa Innocenzo VIII concesse di edificare un convento domenicano accanto alla Cappella di Santa Maria di Gesù, che nel 1489 ottenne il titolo ed il diritto di convento formale della congregazione.

Grazie alla famiglia Tagliavia decolla l’economia del feudo castelvetranese, fondata sulla gestione diretta in mano ai baroni dei fondi e dei feudi.

Oltre ad essere zelanti per gli aspetti economici e politici, i Tagliavia furono anche sensibili mecenati.

La circolazione di ingenti somme di denaro infatti, favorì la nascita di confraternite e corporazioni di arti e mestieri che promossero la committenza artistica per le botteghe di pittura, scultura, argenteria ed oreficeria più qualificate dell’isola.

Fra le maestranze spicca la prestigiosa bottega di Antonello Gagini e il cantiere cinquecentesco della chiesa dell’Annunziata, promosso dal nobile Baldassare Tagliavia e condotto a termine dal successore Giovan Vincenzo.

Noto come il gran tessitore, Giovan Vincenzo, aveva sapientemente intrecciato rapporti di parentela con la casa d’Aragona già l’11 aprile del 1492, anno in cui sposò Beatrice d’Aragona, sorella di Carlo barone d’Avola e Terranova.

Questi legami furono rafforzati dalle nozze del loro primogenito Francesco con la cugina Antonia Concessa figlia di Carlo D’Aragona.

Intensi furono i legami fra Giovanni Tagliavia e l’imperatore Carlo V, tanto che, per la sua estrema disponibilità durante le campagne militati intraprese in Africa e a Napoli, meritò nel 1530 il titolo di Marchese di Terranova, titolo che erediterà anche il figlio Carlo.

La famiglia Tagliavia s’insediò anche a Palermo, con l’acquisto di quella che passerà nella storia come la casa grandi, in corrispondenza dell’odierno Palazzo delle Poste, per non considerare la villa sub-urbana compresa tra la Zisa e il convento dei Cappuccini.

Proprio a Palermo, Giovanni, per motivi militari, venne tenuto in alta considerazione dal viceré Ferrante Gonzaga, e per i suoi meriti, il re di Spagna lo nominò per ben due volte Presidente del Regno dal 1539 al 1540 e dal 1544 al 1545.

Analogo destino seguì anche il figlio Carlo molti anni dopo.

L’attenzione di Giovanni fu anche rivolta alla sua contea, Castelvetrano, portando a compimento la costruzione della tribuna e dell’abside della chiesa Madre e l’edificazione della parte intermedia del campanile, che si concluderà nel 1552 sotto la reggenza del figlio Carlo.

 

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Carlo D’Aragona

“Illustrissimo ed Eccellentissimo signor don Carlo d’Aragon, Principe di Castelvetrano, Duca di Terranova, Marchese d’Avola, Conte di Burgeto, grande Ammiraglio e gran Contestabile di Sicilia, Governatore di Milano e Capitano Generale di Sua Maestà Cattolica in Italia”.

Così Alessandro Manzoni presentava ai suoi lettori, Carlo D’Aragona il committente di San Domenico, autore di due bandi contro “bravi e vagabondi” nella celebre opera dei Promessi Sposi.

Ereditati il marchesato di Terranova e la baronia di Avola alla morte della madre Antonia Concessa, Carlo seguì a salvaguardare il prestigio dei suoi possedimenti, accadde così che Avola divenne marchesato nel 1543, Terranova ducato nel 1561, Castelvetrano principato nel 1564 ed infine Borgetto contea nel 1566.

Una brillante carriera politica lo portò ad essere nominato: Presidente del Regno per ben due volte dal 1566 al 1568 e dal 1571 al 1577; Viceré di Catalogna nel 1580; Ambasciatore in Germania e Governatore dello Stato di Milano nel 1582.

Fu anche membro del Consiglio di Stato e Guerra, e Presidente del Consiglio d’Italia nella capitale spagnola.

Dopo la morte di re Filippo II, Carlo ebbe anche il delicato compito di reggere la monarchia spagnola durante la minore età di Filippo III.

Per tutte le innumerevoli cariche che ricevette, il popolo palermitano lo elogiava come Magnus Siculus, titolo presente anche nella medaglia forgiata nel 1575.

 

Castelvetrano

Castelvetrano, il più esteso e ricco dei suoi feudi, tra 1505 e il 1570, vide un cospicuo incremento demografico, tanto che nel 1583 contava ben 10.682 abitanti.

In possesso dunque di notevoli rendite, la città è protagonista dal XVI sec fino alla metà del XVII sec di un rinnovamento urbanistico e di una rinascita artistica grazie alla recluta, da parte di Carlo, di numerose maestranze provenienti dai più importanti cantieri palermitani e non solo.

Tra questi spicca la figura di Antonino Ferraro, reduce dal cantiere Palermitano della Cattedrale, incaricato per la decorazione della chiesa di Santa Maria di Gesù, che diverrà il pantheon della famiglia Tagliavia.

Il nuovo risveglio muta definitivamente l’assetto urbano di Castelvetrano che si configurerà secondo i vigenti canoni rinascimentali.

Lasciata definitivamente la Sicilia nel 1578, il principe Carlo, nonostante abbia finito nel 1599 i suoi giorni a Madrid e raggiunto traguardi politici ambiti, rimase sentimentalmente legato alla città di Castelvetrano, tanto che richiese di essere sepolto all’interno del sacello della sua famiglia, nella chiesa di Santa Maria di Gesù, successivamente titolata a San Domenico.

Il suo interesse non si limitò a Castelvetrano, anche a Palermo avviò una rivisitazione dell’assetto urbanistico, promuovendo il prolungamento del Cassaro, o l’inaugurazione della costruzione del molo del porto di Palermo.

La personalità di Carlo è rappresentativa di questa nuova nobiltà siciliana, che, al servizio della Spagna, si inserisce in un circuito internazionale di uomini politici, militari ed amministratori.

Figura molto importante anche per il ruolo di mediatore che incarnò, svolto in campo culturale ed artistico, tra la Sicilia e gli ambienti più aggiornati dell’epoca.